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Coronavirus: il nuovo “bon ton”.

L’impatto del Covid-19 sulle nostre vite è stato talmente grande che la società è cambiata. Se cambia la società, cambiano i comportamenti e la condotta da seguire: quello che viene definito comunemente il “bon ton“. Ho pensato di raccogliere qui di seguito i suggerimenti che possono renderci persone più “civili” in questa nuova società post-epidemica.

  • Non date la mano quando vi presentate
  • Non date baci quando dovete salutarvi
  • Mangiate al ristorante con la testa vicino piatto per rimanere più riparati dai separatori di plexiglass
  • Preferite l’auto ai mezzi pubblici
  • Non attendete nelle sale d’attesa, ma preferite disporvi in file chilometriche davanti a uffici,negozi,ambulatori,ecc…
  • Non date la mancia ai fattorini per evitare il contatto (pagate integralmente online con carta di credito)
  • Non aiutate gli altri a portare borse o oggetti per non contaminarli
  • Preferite comprare online da siti sicuri come Amazon all’acquisto di persona nei negozi locali
  • Se avete un po’ di tosse, non mettete a rischio la vostra azienda andando a lavorare: mettetevi in malattia o prendetevi due settimane di ferie
  • Non andate mai a trovare i vostri parenti anziani
  • Evitate i funerali di amici e conoscenti
  • Se siete religiosi, non andate in chiesa a pregare: i virologi dicono che Dio vi ascolta anche da casa
  • State lontani e abbiate timore di chi va in giro con la faccia scoperta 

Certamente la lista è ancora lunga e chissà cosa accadrà in futuro.

Come si dice in questi casi: “work in progress”…

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Coronavirus, il prezzo più alto.

In questi giorni funesti, a tutti gli italiani si chiede un sacrificio, ma il valore di ciò a cui si rinuncia non può essere lo stesso per tutti.

C’è chi è costretto a chiudere la propria attività, chi ha già perso il posto di lavoro e chi continua a fare quello che faceva prima, ma con un po’ più di attenzione e rinunciando a qualche boccata di aria fresca. Si parla di indici di borsa in picchiata, spread alle stelle e previsioni al ribasso per la crescita economica. Magari in qualcuno desterà preoccupazione vedere arrancare e impantanarsi i colossi della finanza mondiale e sentire parlare di cifre a nove zeri per un rilancio dell’economia. Qualcun altro, illuminato da una saggezza repentina, scorgerà un’occasione per una ramanzina sull’avidità del mondo e si tranquillizzerà pensando che non tutti i mali vengono per nuocere.

Ma dietro a questa realtà che misura i sacrifici con grafici e indici, ce n’è un’altra, invisibile ai più, dove una parola vale più di una plusvalenza e un abbraccio più di un dividendo: è il mondo degli invalidi e dei disabili, degli anziani con patologie, dei bambini con disturbi dello spettro autistico e di tutte le persone cosiddette fragili che vivono grazie alla vicinanza degli altri. Mia madre appartiene a questa categoria di persone in difficoltà. Come altri anziani nella stessa condizione, lei era abituata ad uscire per una passeggiata in carrozzina per il paese, a incontrare persone che la salutavano con un bacio e a ricevere la visita di amici. Ora tutto questo non è più possibile ed è palese la sua sofferenza. Difficile anche riuscire a spiegarle perché abbiamo dovuto sospendere la nostra routine.

Sono le persone come mia madre che pagano il prezzo più alto in questa situazione e poiché il valore del loro sacrifico non è misurabile, nessuna manovra di alcun governo potrà restituire loro quello che gli è stato tolto.

Mentre resto chiuso nella mia abitazione, dedico alcuni momenti alla riflessione e all’immaginazione: nelle mie fantasie mi vengono alla mente scene ispirate dalla letteratura fantastica, di civiltà sviluppatesi sottoterra come alcuni Nani di Dungeons & Dragons o umani nel film (o romanzo) di fantascienza Ember. Nonostante l’assurdità di sovrapporre la fantasia alla realtà, un paragone ci può stare, ma qualcosa è intrinsecamente diverso: a differenza di questi esempi, nella nostra emergenza, manca un’ispirazione, una pulsione umana cui tendere che si identifichi con la speranza.

Purtroppo non è facile nemmeno aggrapparsi a qualcosa quando chi potrebbe allungarti una mano deve stare a distanza di almeno un metro. La fede e l’amore sono da sempre le ultime ancore di salvezza nei momenti bui, tragedie o guerre, ma oggi le chiese devono restare vuote e le carezze e i baci sono diventati pestiferi. Anche Papa Francesco si trova quasi in imbarazzo nell’impossibilità di trovare un modo per stare vicino agli ammalati.

Non possiamo nemmeno più concedere un meritato saluto ai nostri cari defunti con un funerale: morire ora è come gettare un libro in un cassonetto dei rifiuti e poi dargli fuoco.

Il virus ci trasforma in pezzi di carne succhiandoci la nostra umanità.

Questo è il paradosso del Coronavirus: lo possiamo battere uniti ma solo tenendoci distanti.

Sono contento che si sia scelta la via della prudenza nell’affrontare l’epidemia e anch’io mi unisco all’appello “restiamo a casa”, ma sotto ai problemi di salute/sopravvivenza ed economici c’è quello della perdita dei valori umani, che andrebbero maggiormente tutelati perché per le persone fragili rappresentano la vera ricchezza.

Capisco la situazione, ma l’emergenza non deve diventare la consuetudine e il problema delle tempistiche non è irrilevante. Quanto potremo resistere andando avanti così? Quanti sacrifici dovremo chiedere ancora ai nostri cari più fragili prima di perderli per sempre? Quanto ancora la nostra umanità dovrà essere violentata?

Speriamo solo di poter risalire al più in superficie dal mondo sotterraneo in cui ci siamo rintanati e cerchiamo nel frattempo di aiutare le persone che ne hanno più bisogno a compiere questo viaggio insieme a noi.