“Giza – La caduta del dogma” di de’Flumeri, Montuschi e Tavecchia è un saggio intelligente e scrupoloso nei suoi intenti. Intelligente perché le argomentazioni presentate per confutare le versioni ufficiali dell’egittologia fanno emergere le contraddizioni di quest’ultima; scrupoloso perché non è solo un elenco di supposizioni e opinioni, ma si avvale di strumenti come la matematica e la logica per raggiungere il proprio scopo.
Le tesi che si intendono confutare sono principalmente le attribuzioni e la datazione delle piramidi della piana di Giza e i tempi necessari per costruirle. Non mancano dei capitoli dedicati alle piramidi satelliti o alla Sfinge, ma alla fine tutto è collegato in un’unica visione d’insieme.

La parte del libro che mi ha colpito di più è stata quella relativa all’analisi dei tempi di costruzioni della grande Piramide che, secondo l’egittologia, sarebbe stata edificata in 20 anni durante il regno di Cheope (per divenirne la propria tomba). Questo intervallo di tempo è veramente troppo ristretto per poter pensare anche solo di trasportare blocchi di calcare e granito pesanti decine di tonnellate.
Lo si può affermare e credere, ma la differenza qui sta nell’approccio scientifico che è stato adottato per giungere a certe conclusioni.
Difficilmente in saggi di archeologia viene dato spazio a ragionamenti supportati da analisi matematiche e fisiche ed è per questa estrema precisione che un’opera di questo tipo dovrebbe avere un po’ più di visibilità, almeno quanto ne ebbero i calcoli di Goyon a favore della tesi ufficiale e che qui vengono confutati. Per confutare la matematica occorre altra matematica (che garantisce la stessa precisione) e chi vorrà in futuro replicare agli autori di questo saggio non potrà sottrarsi a questa regola. Non so se l’egittologia sarà in grado di raccogliere questa sfida: conoscendone il modus operandi probabilmente troverà più conveniente glissare sull’argomento e passare oltre, confidando nella poca visibilità degli archeologi indipendenti.
Interessanti anche i riferimenti ad esperienze sul campo come il progetto Nova e lo spostamento dei templi di Abu Simbel, perché poi la teoria va sempre corroborata con la pratica.
Da notare come i 20 anni siano risicati anche solo per il trasporto dei massi; per la loro lavorazione ci sono altri calcoli e tempi che si dilatano ancor di più. Tempi che vengono calcolati ipotizzando un lavoro continuo di 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno. Fa quindi sorridere l’ingenuità di alcuni egittologi che ipotizzano che alle piramidi fosse possibile lavorare solo tre mesi all’anno: non si rendono nemmeno conto che affermare questo fa cadere in contraddizione tutto quello in cui si è sempre creduto. Merito certamente dell’arguzia e del “metodo socratico” degli autori che hanno saputo cogliere questi “esperti” in fallo.

Le altre parti del saggio riassumono la storia dell’egittologia riguardo alle Piramidi, di come si sia arrivati a certe conclusioni. Anche qui le rivelazioni saranno sconvolgenti. Come spesso accade, si danno per scontate troppe cose che ad un esame approfondito si rivelano molto diverse da come si riteneva dovessero essere: lo si comprende grazie alla capacità degli autori di risalire alle fonti. Il quadro generale dell’egittologia è desolante, pieno di supposizioni incerte trasformatesi senza ragione in certezze acquisite che divengono il punto di partenza per affermare nuove “verità”.
Un altro punto di forza del libro credo che sia la scorrevolezza con capitoli e paragrafi mai troppo ampi, ma mirati ad affrontare la singola argomentazione. Leggero nella scrittura più di quanto si possa pensare, nel suo incalzare nelle analisi il saggio appassiona come un romanzo. La speranza è che gli autori possano mantenere la stessa passione e professionalità e sfornare altri capolavori come questo, per il bene dell’archeologia alternativa e della conoscenza.
L’unica “contraddizione” che ho trovato ( di cui gli autori sono ben consapevoli) è che non si può portare a sostegno della tesi della frode il fatto che l’unica camera non scoperta da Sir Vyse sia priva di scritte e poi accettare la presa di posizione di Hancock sostenendo che lui si riferisca solo ai marchi di cava e non ai cartigli. E’ una finta contraddizione in realtà, perché gli autori sono aperti a più possibilità, ma finché non sarà possibile esaminare quelle stanza della Grande Piramide non si potrà giungere a conclusioni definitive.
E’ davvero deprimente che al giorno d’oggi si possano ammirare versioni digitali e tridimensionali di musei e monumenti in ogni parte del mondo e per alcuni interni delle piramidi non ci siano nemmeno le foto.
Forse si vuole nascondere qualcosa, ma grazie a questo libro una nuova luce è trapelata attraverso la coltre di fumo dell’egittologia.


