Non ritenendo accettabile questo referendum, ma consapevoli della situazione drammatica in cui versano i cittadini del Donbass e della necessità che ciascun popolo possa autonomamente decidere per sé stesso, in nome dei principi e valori della sovranità popolare e della democrazia,i “rappresentanti” suddetti, che si riconoscono in questi ideali, hanno pensato una serie di proposte e suggerimenti alternativi riassunti nel riquadro successivo:
Aggiungo alcuni dati relativi all’Italia all’articolo precedente.
Secondo il consulente del ministero della salute Walter Ricciardi “ogni mese spendiamo circa 50 milioni di euro per curare i no vax che vanno in ospedale. Sono mezzo miliardo di euro l’anno” (link: https://www.notizie.it/covid-ricciardi-ogni-mese-spendiamo-50-milioni-di-euro-per-curare-i-no-vax/). Prendiamo questi dati per buoni, anche se secondo me è molto difficile fare stime se non conosci l’esatta evoluzione della pandemia e dei contagi.
Ora vediamo quanto ci costa invece il fumo in Italia e la mortalità.
Secondo Tobacco Atlas i morti dell’ultimo anno per fumo sono 93 mila e i costi sono pari a oltre 26 miliardi di Euro in Italia (come conferma anche il ministero della Salute).
Mi sono vaccinato da tempo contro il Covid, ma continuo a detestare tutta la propaganda vaccinale e le sue conseguenze nefaste: le divisioni, le discriminazioni, le censure, l’erezione di muri per proteggere la narrazione unica da chi propone una visione controcorrente, fosse anche logica e sensata. Odio la propaganda perché è il segno distintivo di ogni totalitarismo.
Nel particolare, al giorno d’oggi, la propaganda si concretizza attraverso strumenti di persuasione e ingegneria sociale che rendono ammissibile l’inconcepibile, ovvero la ghettizzazione di una minoranza della popolazione: i non vaccinati.
I non vaccinati sono diventati il capro espiatorio per giustificare ogni sciagura. Si ammala un vaccinato? Subito qualcuno grida agli untori no-vax che diffondono l’epidemia. Non ci si sofferma sul fatto che forse il vaccino non ha funzionato bene in quel caso. Vai a cena a casa di amici o parenti e scopri che qualcuno è non vaccinato? Ecco che i vaccinati si terrorizzano, nonostante siano loro ad indossare l’armatura.
Aumentano i contagi? “La colpa è dei no-vax!”, gridano le televisioni all’unisono, con poche eccezioni. E’ irrilevante che ad es. in Irlanda le città con più contagi siano anche le più vaccinate.
Ma ammettiamo anche che i no-vax contagino davvero di più. Possiamo credere davvero che una minoranza continuamente sotto controllo a suon di tamponi sia l’unica causa della crescita dei contagi? Contagia di più un non vaccinato con la mascherina o un vaccinato senza?Contagia di più un non vaccinato che si fa il tampone o uno che si è fatto il vaccino più di sei mesi fa e si permette di prendersi certe libertà, di essere meno attento alle regole e alla sicurezza, solo perché ha il green pass? Ma la lista delle colpe e delle condanne non finisce qui.
Un non vaccinato viene ricoverato all’ospedale? Sale in men che non si dica l’indignazione generale, perché “non si possono spendere soldi pubblici per curare persone irresponsabili come queste”. E’ strano che lo si dica in un Paese che ha curato mafiosi e politici corrotti. Magari si dirà che questi ultimi non sono molti (però li fanno diventare tanti all’occasione, quando il contesto del discorso è un altro).
Allora prendiamo invece il caso dei fumatori.
Perchè nessuno si indigna per i fumatori? Ogni anno muoiono nel mondo oltre 7 milioni di persone per il fumo. Secondo l’articolo di quotidianosanità, le malattie derivate piu comuni sono il cancro ai polmoni e la broncopneumopatia cronica ostruttiva; inoltre il fumo favorisce l’attivazione della tubercolosi latente. Fanno male solo a loro stessi? Il fumo passivo uccide 890 milapersoneall’anno. Alcuni fumatori con patologie derivate da quel vizio in Italia e altri paesi vengono curati con i soldi pubblici. Perchè non si parla di loro? Sono un problema secondario? Secondo l’articolo della fondazione Veronesi, nel mondo le cure sanitarie ammontano a “422 miliardi di dollari (il 5,7 per cento delle spese sanitarie globali)… Se sommiamo anche i costi indiretti (perdita di produttività per malattia o decessi) si arriva a 1.436 miliardi di dollari, pari all’1,8 per cento del Pil mondiale… A cui vanno aggiunti i rifiuti legati al consumo di sigarette: 6.000 miliardi ogni anno nel mondo, di cui si stima 4.500 miliardi di mozziconi finiscano dispersi nelle nostre strade, acque, spiagge, terreni. E non è carta. Sono un rifiuto che impiega qualche anno a degradarsi e che, facendolo, rilascia sostanze tossiche”.
Date le patologie derivanti dal fumo, i fumatori colpiti dal Covid hanno o non hanno qualche problema in più a superare la malattia virale? I
I nostri governi si accaniscono però solo contro i non vaccinati, che sembrano diventati l’unico problema. I fumatori di certo non lo sono visto che durante il lockdown e le zone rosse, le tabaccherie non sono state chiuse un solo giorno.
Alla luce dei fatti, non ci resta che constatare l’avvenuto decesso del senso critico.
Credo che il Green Pass sia uno strumento meraviglioso: ha saputo riunire gli ideali dei maggiori partiti italiani…in uno stesso cassonetto dell’indifferenziata. Se pensiamo al centrodestra, non possiamo che partire dall’ideale di libertà personale, dall’autodeterminazione dell’individuo, a volte in contrasto col rigore dello Stato; se ci riferiamo al centrosinistra, vengono subito alla mente l’ispirazione proletaria e le battaglie per l’integrazione ed i diritti per il lavoro e l’uguaglianza. Questo straordinario Green Pass è riuscito in un colpo solo a far calare la maschera di ipocrisia sul volto dei partiti al governo, mostrandosi per quello che è veramente: un obbligo vaccinale (neanche troppo velato) che elimina di fatto la libertà di scelta e una patente di iniquità che lascia indenne la maggioranza dei lavoratori italiani ma si accanisce con un 20%, rendendo loro impossibile continuare, a suon di tamponi da 15 Euro ogni due giorni (a meno di non essere benestanti, con ulteriore discriminazione). Inutile ribadire quanti punti della Costituzione siano stati massacrati (pure il diritto all’istruzione).
Tutti stavolta hanno perso la faccia (che sia caduta con la maschera?) Che dire poi dei sindacati e dello spauracchio fascista? Dopo l’assalto alla Cigl ci si è chiesto se un partito politico che ha lo 0,.% dei votanti fosse di ispirazione fascista e andasse pertanto sciolto come indica la Costituzione: l’unica cosa che manca ai loro militanti forse è il fascio littorio tatuato sulla fronte (perchè probabilmente sarà sotto la camicia) e sono tutti lì dagli anni ’90. Si può andare avanti senza di loro? Come avrebbero fatto i mass media senza qualche movimento “arrembante” da strumentalizzare? Stavolta le loro azioni sono servite a delegittimare le proteste pacifiche dei No Green Pass. E’ chiaro che fa comodo fare di tutta l’erba un “fascio” (mai proverbio fu più appropriato). Ed ecco che, poco dopo l’irruzione alla Cgil, viene organizzata una manifestazione contro tutti i fascismi e pro-lavoro dai sindacati stessi. Ho grande rispetto verso chi ha partecipato, senza però comprendere che il fine ultimo era consolidare l’associazione mentale tra gruppi violenti dell’assalto precedente e i No Green Pass. La retorica dei sindacati sul palco, stavolta mi sembrava più uscita da “1984” di G. Orwell, con la forza del suo bispensiero e i suoi slogan:“la guerra è pace”, “la liberta e schiavitu”, “l’ignoranza è forza”!. Visto quanto hanno fatto i sindacati per evitare tutta questa situazione, ho avuto per un attimo la visione di Landini che a petto in fuori, sul pulpito, gridava lo slogan “la discriminazione è integrazione”.
Ieri poi il presidente Mattarella ha tuonato contro la deriva antiscientifica. Chissà a chi si riferiva, se non ai No Green pass che per forza devono essere fascisti o ignoranti (o entrambi). Non è tollerato avere certe idee, se si possiede il lume della ragione… Essere No Green pass ormai è un fallimento: “NO” è una negazione, un non accettare qualcosa nella sua essenza, quasi non fosse mai esistito. Invece bisogna accogliere questo Green Pass, così da poterlo respingere. Senza questa patente non avremmo visto sbriciolarsi il muro di ipocrisia di tutti quelli che si proclamano difensori degli interessi di tutti i cittadini. Ecco perchè ero No Green Pass, ma ho cambiato idea.
Ultimamente ho avuto una discussione con un amico sulla condotta da tenere per vivere in sicurezza in questo momento in cui imperversa l’epidemia di Covid.
Il mio amico è uno molto responsabile che cerca sempre il modo migliore per limitare i rischi di contagio per sé stesso e la propria famiglia: effettua tamponi a distanza di pochi giorni(anche se non svolge attività in cui debba forzatamente stare a contatto con persone), si affida solo alla consegna a domicilio per evitare contaminazioni, disinfetta la merce che riceve a casa prima di utilizzarla e ogni tanto cerca qualche soluzione un po’ originale (si era costruito anche una protezione anti-Covid con una maschera da sub perché riteneva che la mascherina non fosse sufficiente). Quando il mio amico mi ha consigliato di adottare i suoi sistemi e di suggerirli ai miei conviventi, mi sono mostrato un po’ titubante. Del resto esco già pochissimo, mi lavo spesso le mani e non vedo quasi mai nessuno pure io; però non ho mai pensato che le regole del governo non fossero abbastanza. Ho cercato di spiegare al mio amico che per me il rischio zero non esiste: qualche volta devi uscire comunque anche se lavori a casa (ad es. per andare in banca, posta, farmacia, medico, specialisti, ecc…); poi può esserci qualche attimo di distrazione o qualche misura di sicurezza che si abbassa in qualche circostanza. Volendo lanciare una provocazione senza convinzione, se si crede che il pericolo venga da quello che si tocca, dato che recentemente in zona hanno chiuso per focolai alcuni magazzini di ditte che si occupano di consegna merci, mentre i supermercati restano stabilmente aperti, allora non è sempre detto che la consegna a domicilio sia meno pericolosa. Senza contare che tanta gente continua a lavorare accollandosi buona parte dei rischi per permettere agli altri di rimanere a casa in sicurezza.
Alla fine ho detto al mio amico anche che preferivo continuare ad andare nel negozio di alimentari del mio paese: ci vado anche solo per avere una scusa per uscire a prendere una boccata d’aria (filtrata dalla mascherina). A un certo punto lui è sbottato affermando che “il calcolo delle probabilità è una scienza esatta”, quasi che io volessi mettere in discussione che ad adottare le sue contromisure al virus non fosse più prudente. Ebbene caro amico, te lo metto per iscritto: quello che fai tu è più sicuro di quello che fanno tanti altri (io compreso)!
Infatti su questo non ho mai avuto dubbi: le mie perplessità erano altre.
La prima (che non voglio approfondire subito) è che, se esiste un libero arbitrio, non vedo motivo di dire a qualche convivente come comportarsi, visto anche che negli ultimi tempi la bilancia dei diritti/doveri si è inclinata pesantemente verso il secondo braccio (e a riempirne i piatti purtroppo non siamo noi). Figuriamoci poi se devo essere responsabile delle scelte degli altri.
La seconda perplessità invece mi ha richiamato alla mente un video che apparentemente non c’entra nulla. In questo video Amedeo Balbi, un astrofisico e divulgatore scientifico, spiegava qualcosa inerente alla velocità della luce e all’energia necessaria perché un’astronave potesse raggiungere frazioni di quella velocità.
Non ricordo più quale sia il video, perché ne ha fatti diversi sull’ argomento, ma rammento vagamente quello che veniva spiegato: se portiamo un’astronave a metà della velocità della luce e vogliamo accelerare ancora, diventa sempre più difficile e occorre in proporzione sempre più energia e carburante. E’ un po’ come pensare che, volendo accelerare un’ auto dai 100 Km/h ai 101 Km/h, dovessimo consumare il doppio di carburante. Ne varrebbe la pena? In questa metafora il tentativo di accelerare ulteriormente può essere visto come un incremento delle misure di sicurezza per proteggersi dal virus e il carburante rappresenta i sacrifici, i turbamenti e gli sforzi mentali che accompagnano ogni restrizione delle proprie libertà e ogni aumento del livello di tensione. Viviamo in grande difficoltà, tormentati da giornali e televisioni che non mollano di un millimetro e ci terrorizzano quotidianamente con la paura della morte; ogni settimana si parla di nuove misure e restrizioni da parte di governo o regioni: non è già questo abbastanza per qualche psiche ormai compromessa che chiede soltanto di avere un attimo di tregua, oppure dobbiamo auto-imporci altri grandi sforzi per limare ancora qualcosa di impercettibile verso il traguardo del rischio zero, che non potrà mai essere raggiunto? E arrivare a questa sicurezza, che cosa ci sarà costato?
A mio avviso è legittimo spingere sull’acceleratore se ci si sente di farlo e si hanno le energie per sostenere un tale velocità, ma non tutti quanti possono fare il pieno di carburante continuamente.
Visto che siamo ormai abituati alle fasce di rischio (e annesse misure di sicurezza) a colori per regioni e province, dico che l’ideale sarebbe un colore diverso per ogni famiglia, perchè ognuna di esse rappresenta un unicum per struttura, storia, relazioni e problemi (che conoscono solo i propri famigliari).
Questo però, come sappiamo tutti, è irrealizzabile. L’Italia a chiazze colorate per regioni e province è già un passo avanti rispetto al monocolore (che comunque all’inizio è servito per risvegliare un sentimento di coesione nazionale), ma se fosse possibile, ognuno di noi dovrebbe indossare un proprio abito colorato fatto su misura, che non si adatta agli altri.
E’ chiaro che dal momento che a tutti piacciono i colori chiari, è necessaria che ci sia un’autorità che opera delle scelte: la sfida è tener conto di un rischio collettivo tutelando però le diversità.
Un’altra cosa su cui purtroppo si riflette troppo poco è che ogni scelta che facciamo è sempre condizionata da quella che è la nostra previsione del futuro. Si legge su internet di persone agli estremi che chiuderebbero tutto e altre che vorrebbero aperto, e noi diamo per scontato erroneamente che il futuro che loro immaginano sia lo stesso. Si dice ancora che la salute viene prima di tutto, ma anche questa affermazione è collegata ad una previsione.
Immaginiamo che un’autorità ci suggerisca di rinchiuderci in una torre (o in una campana di vetro) per ridurre il rischio di venire contagiati da un virus pericoloso.
Rimanendo nella torre potremmo sopravvivere all’epidemia, in sicurezza e in salute. Certamente faremmo tutto il possibile da persone responsabili ed in un anno o due il virus potrebbe venire sconfitto. Immaginiamo ancora che questa battaglia si riveli più impegnativa del previsto e siano stimati 30 anni per vincerla. Rimarremmo lo stesso dentro la torre, oppure ci prenderemmo qualche rischio in più ogni tanto uscendo fuori? L’idea di vivere in sicurezza e in salute, ma senza libertà, potrebbe non essere allettante per tutti: in questo senso la salute non sarebbe al di sopra di tutto. Nel concreto, le persone che dicono di stare tutti chiusi, pensano che con questi gesti estremi si potrà tornare prima alla normalità; quelli che invece spingono per ritagliarsi maggiori libertà potrebbero avere un’immagine del futuro molto diversa. Anche la seconda posizione potrebbe essere più concreta di quanto si pensi. Non sappiamo quanto tempo ancora ci voglia per vincere il Covid: saranno mesi o anni? Sconfitto il Covid, potrebbe arrivare un altro virus. Sono troppo pessimista? Si, se ci basiamo sugli stessi parametri su cui abbiamo fatto fondamento in passato; no, se ci rendiamo conto che il mondo è cambiato. In che modo? Verso la globalizzazione. La globalizzazione stessa potrebbe essere la causa della pandemia. Nel passato molti contagi erano localizzati sul territorio: le barriere naturali e la mancanza della tecnologia per venire a contatto con persone distanti migliaia di Km impedivano il diffondersi del virus su scala planetaria. Si moriva purtroppo in un posto e tutti gli altri si salvavano (salvo eccezioni). Andando avanti, con i collegamenti del mondo moderno, lo stato di emergenza potrebbe divenire la nuova normalità. Ecco perché è legittimo anche il punto di vista di chi preferirebbe convivere col virus con qualche apertura e libertà in più e un po’ più di serenità.
La cosa importante è rispettare i punti di vista e non pensare che quello che si fa per sé stessi sia sempre la soluzione migliore per tutti gli altri.
Mentre l’azione di uscire di casa si è tramutata da “mezzo” (per arrivare da qualche parte) a “fine” o scopo ultimo di un periodo di reclusione che non poteva conoscere altri obiettivi immediati, ho ricominciato a pensare al mio sport: il tennistavolo. Non si può ancora giocare, ma è abbastanza confortante ritrovare almeno i pensieri positivi di una volta.
A dire il vero, qualcuno che gioca a tennistavolo c’è già: sono quelli bravi, i giocatori di interesse nazionale scelti dalla federazione; sono quelli che giocano per lo “scudetto” o per qualificarsi alle olimpiadi. Gli altri no, ed è abbastanza giusto che sia così: non si può mettere a rischio di contagio qualche “vecchietto” che si gioca al massimo un caffettino al bar (quando i bar sono chiusi).
Mentre la pacatezza di questa logica constatazione mi cullava, cominciava ad assalirmi il tarlo del dubbio (come spesso mi accade). Mi sono domandato: ma i giocatori bravi lo sono sempre stati o lo sono diventati?Eraclito, il filosofo greco del mutamento secondo cui “«Non si può discendere due volte nel medesimo fiume», non avrebbe avuto dubbi. Cercando di superare questo apparente dilemma, la mia mente mi ha portato non verso due anziani che si giocano un caffè, ma da dei ragazzi amatori:giovani non ancora così forti da fare interessare la federazione, ma che potrebbero diventarlo. Ebbene questi ragazzi non possono ancora allenarsi,purtroppo! La loro crescita è così cristallizzata. Il coronavirus ha fermato il tempo e ha preso le decisioni al posto suo: la bravura è una condizione immutabile e non è possibile raggiungerla.
Per analogia di argomentazione, sono anch’io precipitato nell’acceso dibattito sui cosiddetti “congiunti“. Chi sono questi congiunti? Sono i parenti e le persone cui siamo legati di più. Ai tempi del Coronavirus sono quelli che ci è concesso di andare a trovare.
Vedere alla tv le immagini di un ristorante che separava, sistemando in due tavoli diversi, coppie che non abitavano sotto lo stesso tetto, mi ha sollevato gli stessi interrogativi di sopra. Mi sono chiesto: un ragazzo e una ragazza fidanzati o sposati, lo sono sempre stati oppure lo sono diventati? Ci sarà stato o no un periodo in cui si frequentavano e non erano ancora congiunti, il loro cuore batteva forte e la loro mente era ancora confusa (ma felice)? Anche qui il coronavirus ha cancellato il divenire: essere congiunto è condizione immutabile e non è possibile raggiungerla, soprattutto per i/le singleche frequentavano qualcuna/o prima della quarantena… Bisogna mettersi il cuore in pace.
La vita ai tempi del Covid è così “congelata” in condizioni immutabili e il divenire è un’illusione, come voleva Zenone nel celebre paradosso di Achille e la tartaruga.
Eliminando tempo e mutamento, non sarà più possibile risolvere il paradosso e la tartaruga potrà risalire sul gradino più alto del podio per guardare dall’alto in basso il vanaglorioso e stupefatto Achille. Al povero Eraclito, così mortificato, non resta che attendere il 18 maggio e sperare che cambi qualcosa. A lui non manca di certo la fiducia nel mutamento.
L’impatto del Covid-19 sulle nostre vite è stato talmente grande che la società è cambiata. Se cambia la società, cambiano i comportamenti e la condotta da seguire: quello che viene definito comunemente il “bon ton“. Ho pensato di raccogliere qui di seguito i suggerimenti che possono renderci persone più “civili” in questa nuova società post-epidemica.
Non date la mano quando vi presentate
Non date baci quando dovete salutarvi
Mangiate al ristorante con la testa vicino piatto per rimanere più riparati dai separatori di plexiglass
Preferite l’auto ai mezzi pubblici
Non attendete nelle sale d’attesa, ma preferite disporvi in file chilometriche davanti a uffici,negozi,ambulatori,ecc…
Non date la mancia ai fattorini per evitare il contatto (pagate integralmente online con carta di credito)
Non aiutate gli altri a portare borse o oggetti per non contaminarli
Preferite comprare online da siti sicuri come Amazon all’acquisto di persona nei negozi locali
Se avete un po’ di tosse, non mettete a rischio la vostra azienda andando a lavorare: mettetevi in malattia o prendetevi due settimane di ferie
Non andate mai a trovare i vostri parenti anziani
Evitate i funerali di amici e conoscenti
Se siete religiosi, non andate in chiesa a pregare: i virologi dicono che Dio vi ascolta anche da casa
State lontani e abbiate timore di chi va in giro con la faccia scoperta
Certamente la lista è ancora lunga e chissà cosa accadrà in futuro.
In questi giorni funesti, a tutti gli italiani si chiede un sacrificio, ma il valore di ciò a cui si rinuncia non può essere lo stesso per tutti.
C’è chi è costretto a chiudere la propria attività, chi ha già perso il posto di lavoro e chi continua a fare quello che faceva prima, ma con un po’ più di attenzione e rinunciando a qualche boccata di aria fresca. Si parla di indici di borsa in picchiata, spread alle stelle e previsioni al ribasso per la crescita economica. Magari in qualcuno desterà preoccupazione vedere arrancare e impantanarsi i colossi della finanza mondiale e sentire parlare di cifre a nove zeri per un rilancio dell’economia. Qualcun altro, illuminato da una saggezza repentina, scorgerà un’occasione per una ramanzina sull’avidità del mondo e si tranquillizzerà pensando che non tutti i mali vengono per nuocere.
Ma dietro a questa realtà che misura i sacrifici con grafici e indici, ce n’è un’altra, invisibile ai più, dove una parola vale più di una plusvalenza e un abbraccio più di un dividendo: è il mondo degli invalidi e dei disabili, degli anziani con patologie, dei bambini con disturbi dello spettro autistico e di tutte le persone cosiddette fragili che vivono grazie alla vicinanza degli altri. Mia madre appartiene a questa categoria di persone in difficoltà. Come altri anziani nella stessa condizione, lei era abituata ad uscire per una passeggiata in carrozzina per il paese, a incontrare persone che la salutavano con un bacio e a ricevere la visita di amici. Ora tutto questo non è più possibile ed è palese la sua sofferenza. Difficile anche riuscire a spiegarle perché abbiamo dovuto sospendere la nostra routine.
Sono le persone come mia madre che pagano il prezzo più alto in questa situazione e poiché il valore del loro sacrifico non è misurabile, nessuna manovra di alcun governo potrà restituire loro quello che gli è stato tolto.
Mentre resto chiuso nella mia abitazione, dedico alcuni momenti alla riflessione e all’immaginazione: nelle mie fantasie mi vengono alla mente scene ispirate dalla letteratura fantastica, di civiltà sviluppatesi sottoterra come alcuni Nani di Dungeons & Dragons o umani nel film (o romanzo) di fantascienza Ember. Nonostante l’assurdità di sovrapporre la fantasia alla realtà, un paragone ci può stare, ma qualcosa è intrinsecamente diverso: a differenza di questi esempi, nella nostra emergenza, manca un’ispirazione, una pulsione umana cui tendere che si identifichi con la speranza.
Purtroppo non è facile nemmeno aggrapparsi a qualcosa quando chi potrebbe allungarti una mano deve stare a distanza di almeno un metro. La fede e l’amore sono da sempre le ultime ancore di salvezza nei momenti bui, tragedie o guerre, ma oggi le chiese devono restare vuote e le carezze e i baci sono diventati pestiferi. Anche Papa Francesco si trova quasi in imbarazzo nell’impossibilità di trovare un modo per stare vicino agli ammalati.
Non possiamo nemmeno più concedere un meritato saluto ai nostri cari defunti con un funerale: morire ora è come gettare un libro in un cassonetto dei rifiuti e poi dargli fuoco.
Il virus ci trasforma in pezzi di carne succhiandoci la nostra umanità.
Questo è il paradosso del Coronavirus: lo possiamo battere uniti ma solo tenendoci distanti.
Sono contento che si sia scelta la via della prudenza nell’affrontare l’epidemia e anch’io mi unisco all’appello “restiamo a casa”, ma sotto ai problemi di salute/sopravvivenza ed economici c’è quello della perdita dei valori umani, che andrebbero maggiormente tutelati perché per le persone fragili rappresentano la vera ricchezza.
Capisco la situazione, ma l’emergenza non deve diventare la consuetudine e il problema delle tempistiche non è irrilevante. Quanto potremo resistere andando avanti così? Quanti sacrifici dovremo chiedere ancora ai nostri cari più fragili prima di perderli per sempre? Quanto ancora la nostra umanità dovrà essere violentata?
Speriamo solo di poter risalire al più in superficie dal mondo sotterraneo in cui ci siamo rintanati e cerchiamo nel frattempo di aiutare le persone che ne hanno più bisogno a compiere questo viaggio insieme a noi.