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Coronavirus, il prezzo più alto.

In questi giorni funesti, a tutti gli italiani si chiede un sacrificio, ma il valore di ciò a cui si rinuncia non può essere lo stesso per tutti.

C’è chi è costretto a chiudere la propria attività, chi ha già perso il posto di lavoro e chi continua a fare quello che faceva prima, ma con un po’ più di attenzione e rinunciando a qualche boccata di aria fresca. Si parla di indici di borsa in picchiata, spread alle stelle e previsioni al ribasso per la crescita economica. Magari in qualcuno desterà preoccupazione vedere arrancare e impantanarsi i colossi della finanza mondiale e sentire parlare di cifre a nove zeri per un rilancio dell’economia. Qualcun altro, illuminato da una saggezza repentina, scorgerà un’occasione per una ramanzina sull’avidità del mondo e si tranquillizzerà pensando che non tutti i mali vengono per nuocere.

Ma dietro a questa realtà che misura i sacrifici con grafici e indici, ce n’è un’altra, invisibile ai più, dove una parola vale più di una plusvalenza e un abbraccio più di un dividendo: è il mondo degli invalidi e dei disabili, degli anziani con patologie, dei bambini con disturbi dello spettro autistico e di tutte le persone cosiddette fragili che vivono grazie alla vicinanza degli altri. Mia madre appartiene a questa categoria di persone in difficoltà. Come altri anziani nella stessa condizione, lei era abituata ad uscire per una passeggiata in carrozzina per il paese, a incontrare persone che la salutavano con un bacio e a ricevere la visita di amici. Ora tutto questo non è più possibile ed è palese la sua sofferenza. Difficile anche riuscire a spiegarle perché abbiamo dovuto sospendere la nostra routine.

Sono le persone come mia madre che pagano il prezzo più alto in questa situazione e poiché il valore del loro sacrifico non è misurabile, nessuna manovra di alcun governo potrà restituire loro quello che gli è stato tolto.

Mentre resto chiuso nella mia abitazione, dedico alcuni momenti alla riflessione e all’immaginazione: nelle mie fantasie mi vengono alla mente scene ispirate dalla letteratura fantastica, di civiltà sviluppatesi sottoterra come alcuni Nani di Dungeons & Dragons o umani nel film (o romanzo) di fantascienza Ember. Nonostante l’assurdità di sovrapporre la fantasia alla realtà, un paragone ci può stare, ma qualcosa è intrinsecamente diverso: a differenza di questi esempi, nella nostra emergenza, manca un’ispirazione, una pulsione umana cui tendere che si identifichi con la speranza.

Purtroppo non è facile nemmeno aggrapparsi a qualcosa quando chi potrebbe allungarti una mano deve stare a distanza di almeno un metro. La fede e l’amore sono da sempre le ultime ancore di salvezza nei momenti bui, tragedie o guerre, ma oggi le chiese devono restare vuote e le carezze e i baci sono diventati pestiferi. Anche Papa Francesco si trova quasi in imbarazzo nell’impossibilità di trovare un modo per stare vicino agli ammalati.

Non possiamo nemmeno più concedere un meritato saluto ai nostri cari defunti con un funerale: morire ora è come gettare un libro in un cassonetto dei rifiuti e poi dargli fuoco.

Il virus ci trasforma in pezzi di carne succhiandoci la nostra umanità.

Questo è il paradosso del Coronavirus: lo possiamo battere uniti ma solo tenendoci distanti.

Sono contento che si sia scelta la via della prudenza nell’affrontare l’epidemia e anch’io mi unisco all’appello “restiamo a casa”, ma sotto ai problemi di salute/sopravvivenza ed economici c’è quello della perdita dei valori umani, che andrebbero maggiormente tutelati perché per le persone fragili rappresentano la vera ricchezza.

Capisco la situazione, ma l’emergenza non deve diventare la consuetudine e il problema delle tempistiche non è irrilevante. Quanto potremo resistere andando avanti così? Quanti sacrifici dovremo chiedere ancora ai nostri cari più fragili prima di perderli per sempre? Quanto ancora la nostra umanità dovrà essere violentata?

Speriamo solo di poter risalire al più in superficie dal mondo sotterraneo in cui ci siamo rintanati e cerchiamo nel frattempo di aiutare le persone che ne hanno più bisogno a compiere questo viaggio insieme a noi.

progetti

Prima esperienza sul Google Play Store

Tanto per fare un po’ di esperienza e un test con lo sviluppo su Android ho deciso di pubblicare la mia prima banalissima app sul Google Play Store: un semplice cronometro che ho chiamato “Useless Stopwatch”. Non pensavo che per pubblicare una app gli addetti di Google mi facessero attendere quasi un mese, un intervallo di tempo in cui mi sono domandato più volte se avessi sbagliato qualche passaggio. Alla fine tutto si è sistemato, ma mi è rimasto un dubbio: se non si fosse trattato di una applicazione inutile a scopo di test, ma di un progetto serio a scopo rimunerativo, l’attesa sarebbe stata inferiore o una azienda di sviluppo software avrebbe dovuto mettere in conto le spese sostenute per affrontare questo ritardo? Mi viene quasi da sperare di essere stato boicottato perché non si fidavano di me… :-))

Poi ho deciso di testare anche la pubblicità e ho inserito un banner nell’app, gestito da Google. Anche qui un’altra stranezza: mi chiedono di scegliere una mia app dallo store, poi mi assegnano un identificativo del banner che deve essere associato a quella precisa app. Non ho ancora ben capito come riescano ad assegnarti quell’id se la tua app non è ancora stata caricata sullo store, ma cercherò di capirlo prossimamante. Anche perché ho già pronta qualche altra app sempre “useless”, ma forse un po’ meno useless di questa…

https://genioboy.net/useless-stopwatch/

archeologia, storia, libri, saggi

Antichi Astronauti in Sudamerica, un viaggio per riscrivere la storia.

Antichi Astronauti in Sudamerica – Tracce di Contatti nel Passato” (di seguito A.A.S. ) di Filippo Sarpa e Sara Rolando (editore XPublishing) è un saggio in due volumi che si propone di illustrare la teoria del titolo. Sono chiamati “antichi astronauti i viaggiatori provenienti da altri mondi che in un remoto passato (e anche in tempi più recenti) visitarono il nostro pianeta lasciando un’ ”impronta” indelebile nelle culture, tradizioni, religioni e tecnologie dei nostri antenati. Si tratta di una teoria non supportata dal mondo accademico, ma di certo non più di nicchia, visto il successo avuto da alcuni saggisti che l’hanno divulgata (von Däniken, Sitchin per dirne un paio) ed altri che le hanno strizzato un occhio (Hancock, Bauval, West, ecc…). La teoria non ha una propria forma delineata, ma contorni sfumati (come spiegano anche gli autori di A.A.S.) che vanno dal contatto con extraterrestri alla semplice presa d’atto che qualcosa nella storia dell’umanità non torna, fosse anche solo per il retaggio di antiche civiltà evolute, scomparse di fatto e dalla memoria.

Nella prefazione il saggio viene presentato come suddiviso in macrocapitoli: una introduzione alla teoria, con un tentativo di definirla partendo dalle origini; una valutazione dell’impatto socioculturale; una presentazione dei luoghi di interesse, visitati di persona dagli autori in un viaggio recente in sudamerica, con a corredo alcune interviste ad esperti degli argomenti trattati; interpretazioni di quanto emerso dalla ricerca sul campo e analogie.

Sostanzialmente quest’opera è una sintesi delle tesi di laurea dei giovani autori, tanto che non ho ben capito cosa c’è in più o in meno nel libro, ma non è importante.

La prima ragione che mi ha spinto ad acquistare il primo volume è stata l’argomento trattato, di cui non sono né un esperto né un vero appassionato (o forse si?), che da sempre mi incuriosisce e stimola; la seconda è stata la data di pubblicazione, perché cercavo qualcosa di aggiornato.

E magari anche qualche nuovo autore meno noto alle masse.

All’inizio la lettura non è molto scorrevole: la poca enfasi, le tante informazioni condensate in poche pagine, la puntigliosità eccessiva mi hanno un po’ annoiato. Mi è sembrato un po’ che gli autori non sapessero da che parte stare, tra l’”incudine” della passione per una teoria non convenzionale e il “martello” del rigore accademico, quasi in conflitto con sé stessi. Ma l’impressione iniziale ha ben presto lasciato il posto ad un percorso interessante seguito dagli autori nel loro viaggio. Certo che se si è abituati alla fantasia di Sitchin, qui siamo all’estremo opposto, ma c’è comunque una grande abbondanza di informazioni interessanti. Ovviamente ci si sofferma più sui particolari che sull’insieme, perché è l’unico modo per far emergere le anomalie che l’archeologia convenzionale ignora.

Nonostante l’abitudine acquisita all’impressionarmi per la magnificenza di grandi opere di costruzione, mura mastodontiche e disegni giganteschi sul terreno, sono stati proprio alcuni piccoli dettagli che non conoscevo a sorprendermi. Un po’ come quando leggendo i libri di Piccaluga su Marte non riesci a vedere tutti i volti che lui ti mostra sulla superficie del pianeta, ma rimani a bocca aperta per dei muri a novanta gradi.

La scienza ortodossa dell’architettura e delle tecniche di costruzione non attribuisce agli Inca una tecnologia per rendere malleabile le rocce, magari usando fornaci ad altissime temperature, eppure alcune delle suddette anomalie non sarebbero tali se tenessimo conto anche di questa possibilità.

E non parlo solo della precisione ad incastrare i blocchi rocciosi l’uno con l’altro, come nella nota pietra a 12 angoli di Cuzco.

Pietra dai 12 angoli – Cuzco

Non posso inserire foto dal libro (e non ne ho trovato su internet), ma mi ha lasciato basito “El ocho” (= l’otto) nel parco archeologico di Sacsayhuamán (Perù), che non è altro che un buco nella roccia con una forma particolare, scavato dall’alto al basso. La caratteristica peculiare è che presenta un bordo rialzato in mezzo ad un piano completamente levigato: comprensibile alla stregua di un buco nella terra se si si immagina che sia stata utilizzata una qualche tecnologia per rendere malleabile la roccia; quasi inspiegabile se si deve credere che, senza un motivo specifico, sia stato rimosso a colpi di scalpello il materiale roccioso su tutto il piano circostante, lasciando solo questo bordo.

Per la stessa ragione lasciano perplessi gli scoop marks (“marchi di paletta”), ovvero “depressioni sulla superficie della pietra che sembrano il risultato della pressione di utensili dalla base quadrata o rettangolare” come spiegano gli autori: sembra proprio che qualcuno abbia giocato con paletta e secchiello con la sabbia bagnata, pur sapendo che si tratta di roccia difficilmente lavorabile.

E che dire delle protuberanze sui blocchi rocciosi nel Coricancha e ad Ollantaytambo, ma anche in numerose opere attribuite agli Inca?

Anche i segni di vetrificazione (visibili e tattili) sui blocchi corroborano la teoria delle alte temperature per fondere la roccia.

Si prosegue poi in volo sulle linee di Nazca, poi in Bolivia e fino all’isola di Pasqua, ma lascio ai lettori il piacere di accompagnare gli autori in questo viaggio.

Interessanti anche le interviste, anche se tutte pro antichi astronauti: sarebbe stato interessante anche sentire anche l’altra campana per un confronto diretto.

Alla fine direi che è un saggio che mi sento di consigliare se si ha un minimo di interesse per l’argomento ed è comunque degno di rispetto per l’importanza dei dubbi che vengono sollevati, la soluzione dei quali potrebbe portare a riscrivere la storia.

Faccio inoltre i migliori in bocca al lupo ai giovani autori per il coraggio incitandoli a continuare su questa strada.

fantascienza, fantastico, serie tv

Stranger Things (stagioni 1 e 2)

Ho deciso di guardare la seconda stagione di questa serie di successo con basse aspettative: come tutti sanno, quando si raggiunge un livello molto alto è molto più facile scendere ( o precipitare ) che salire di qualità. So che sono un appassionato di fantascienza e che a volte apprezzo anche opere un po’ di nicchia, ma la prima stagione mi aveva davvero entusiasmato e, in questo caso, non sono stato l’unico ad apprezzarla. Cosa aveva di così affascinante la prima stagione? Tante componenti dosate sapientemente: l’ambientazione anni ‘80, tornata di moda di recente (vedi altre serie e videogiochi di prossima uscita); il focus su un gruppo di ragazzi molto giovani che si accostano ad un contesto maturo; la tensione sempre presente e il disorientamento dello spettatore. Con queste caratteristiche, non è difficile richiamare alla mente un certo tipo di cinema, cui ci hanno abituato autori come Steven Spielberg e Stephen King con film tipo E.T., Stand By Me, il primo It, che vengono citati anche direttamente (vedi ad es. la fuga in bicicletta dei ragazzi che stavolta avrà un esito “invertito” per chi dovrà volare per aria). Suggestivo ed azzeccato anche il parallelo tra il mondo fantasy creato dai giovani ragazzi e quello fantastico, ma allo stesso tempo reale in quell’universo, dell’altra dimensione, da loro chiamata “il sottosopra”: una serie di analogie dove la realtà parallela si identifica con gli elementi di un gioco di ruolo. Il disorientamento si manifesta nel rendere incomprensibili alcuni accadimenti, lasciando sì qualche indizio, ma impedendo di connettere i punti logici essenziali per avere una visione d’insieme. Fino ovviamente agli ultimi episodi risolutivi (in parte).

Tra i personaggi spicca senza dubbio la Joyce Byers di Winona Ryder, nella sua ostinazione di non cedere alla follia e non darsi per vinta. Un grande ritorno per Winona, forse accantonata per troppo tempo dalle case di produzione.

La seconda stagione non avrebbe potuto seguire la strada dell’indecifrabilità: conosciamo ormai i personaggi, il loro modo di agire e buona parte dei misteri che ruotano attorno al “sottosopra”. Non restava allora che inserire altri elementi di interesse: un nuovo misterioso antagonista (con un proprio “esercito”); un’approfondimento sul passato di Undici; l’introduzione di nuovi personaggi di rilievo, come Max e Bob (entrambi interpretati rispettivamente molto bene dalla giovane attrice Sadie Sink e da Sean Austin, noto per la saga del Signore degli Anelli e per i Goonies, altra pietra miliare del cinema per ragazzi anni ‘80). Il risultato è sopra le aspettative iniziali: forse pochi “spunti” e storie sono davvero originali, ma non ci si annoia mai. La tensione e il mistero sono sempre presenti, anche se un po’ più blandi.

Credo che Stranger Things si possa catalogare più facilmente nel genere fantascientifico piuttosto che in quello fantastico, anche ci si muove sulla linea di confine: la credibilità non viene mai meno, nonostante gli episodi straordinari presentati.

E’ proprio agli amanti di questi generi che mi sento di raccomandare Stranger Things.

Mi pare che sia stata annunciata la terza serie: penso che la guarderò, stavolta con un po’ più di ottimismo 😉

ping pong

Una partita di ping pong

Da qualche anno pratico il ping pong o tennistavolo che dir si voglia a “livello” agonistico: le virgolette sono d’obbligo, in quanto esistono tanti diversi livelli di bravura tra giocatori, ed io trovo posto solo nella fascia più inesperta.  Anche l’aggettivo agonistico suonerà un po’ strano accostato ad un gioco che viene spesso relegato tra i comuni passatempo, al di fuori dei confini dell’attività sportiva. Forse in Italia il ping pong non è ancora riuscito a scrollarsi di dosso le conseguenze di un’affermazione di un gerarca fascista che ne abbassò la considerazione generale definendolo un gioco per cicisbei! Anche solo quest’estate, camminando per le vie del mio paese, ho ascoltato di sfuggita alcuni ragazzi che parlavano di una partita vinta da un loro amico 21-0 (per la cronaca: ora si giocano set agli 11 e non da pochi anni) e questo la dice lunga sul livello di conoscenza della materia…

Sta di fatto che il ping pong/tennistavolo è uno sport olimpico, con proprie federazioni internazionale,europea e italiana. Ci sarà modo di tornare in seguito sull’argomento.

Qui volevo solo postare una partita della mia squadra, tanto per provare a inserire un video (ho appena aperto il sito e anche qui sono un principiante ) e mostrare come io, la mia squadra e tanti altri (beh non proprio cosi tanti) passiamo alcune delle nostre domeniche 🙂

La partita si è disputata a Funo di Argelato (BO) tra le squadre A.S.D. T.T. Nettuno B Cibix e la Maior 6 Pizzeria L’Ospite. Viene mostrato l’incontro tra gli atleti Nepoti Alessandra e Costanda Alexei.