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La prudenza non è mai troppa (e la salute viene prima di tutto)?

Ultimamente ho avuto una discussione con un amico sulla condotta da tenere per vivere in sicurezza in questo momento in cui imperversa l’epidemia di Covid.

Il mio amico è uno molto responsabile che cerca sempre il modo migliore per limitare i rischi di contagio per sé stesso e la propria famiglia: effettua tamponi a distanza di pochi giorni(anche se non svolge attività in cui debba forzatamente stare a contatto con persone), si affida solo alla consegna a domicilio per evitare contaminazioni, disinfetta la merce che riceve a casa prima di utilizzarla e ogni tanto cerca qualche soluzione un po’ originale (si era costruito anche una protezione anti-Covid con una maschera da sub perché riteneva che la mascherina non fosse sufficiente). Quando il mio amico mi ha consigliato di adottare i suoi sistemi e di suggerirli ai miei conviventi, mi sono mostrato un po’ titubante. Del resto esco già pochissimo, mi lavo spesso le mani e non vedo quasi mai nessuno pure io; però non ho mai pensato che le regole del governo non fossero abbastanza. Ho cercato di spiegare al mio amico che per me il rischio zero non esiste: qualche volta devi uscire comunque anche se lavori a casa (ad es. per andare in banca, posta, farmacia, medico, specialisti, ecc…); poi può esserci qualche attimo di distrazione o qualche misura di sicurezza che si abbassa in qualche circostanza. Volendo lanciare una provocazione senza convinzione, se si crede che il pericolo venga da quello che si tocca, dato che recentemente in zona hanno chiuso per focolai alcuni magazzini di ditte che si occupano di consegna merci, mentre i supermercati restano stabilmente aperti, allora non è sempre detto che la consegna a domicilio sia meno pericolosa. Senza contare che tanta gente continua a lavorare accollandosi buona parte dei rischi per permettere agli altri di rimanere a casa in sicurezza.

Alla fine ho detto al mio amico anche che preferivo continuare ad andare nel negozio di alimentari del mio paese: ci vado anche solo per avere una scusa per uscire a prendere una boccata d’aria (filtrata dalla mascherina). A un certo punto lui è sbottato affermando che “il calcolo delle probabilità è una scienza esatta”, quasi che io volessi mettere in discussione che ad adottare le sue contromisure al virus non fosse più prudente. Ebbene caro amico, te lo metto per iscritto: quello che fai tu è più sicuro di quello che fanno tanti altri (io compreso)!

Infatti su questo non ho mai avuto dubbi: le mie perplessità erano altre.

La prima (che non voglio approfondire subito) è che, se esiste un libero arbitrio, non vedo motivo di dire a qualche convivente come comportarsi, visto anche che negli ultimi tempi la bilancia dei diritti/doveri si è inclinata pesantemente verso il secondo braccio (e a riempirne i piatti purtroppo non siamo noi). Figuriamoci poi se devo essere responsabile delle scelte degli altri.

La seconda perplessità invece mi ha richiamato alla mente un video che apparentemente non c’entra nulla. In questo video Amedeo Balbi, un astrofisico e divulgatore scientifico, spiegava qualcosa inerente alla velocità della luce e all’energia necessaria perché un’astronave potesse raggiungere frazioni di quella velocità.

Non ricordo più quale sia il video, perché ne ha fatti diversi sull’ argomento, ma rammento vagamente quello che veniva spiegato: se portiamo un’astronave a metà della velocità della luce e vogliamo accelerare ancora, diventa sempre più difficile e occorre in proporzione sempre più energia e carburante. E’ un po’ come pensare che, volendo accelerare un’ auto dai 100 Km/h ai 101 Km/h, dovessimo consumare il doppio di carburante. Ne varrebbe la pena? In questa metafora il tentativo di accelerare ulteriormente può essere visto come un incremento delle misure di sicurezza per proteggersi dal virus e il carburante rappresenta i sacrifici, i turbamenti e gli sforzi mentali che accompagnano ogni restrizione delle proprie libertà e ogni aumento del livello di tensione. Viviamo in grande difficoltà, tormentati da giornali e televisioni che non mollano di un millimetro e ci terrorizzano quotidianamente con la paura della morte; ogni settimana si parla di nuove misure e restrizioni da parte di governo o regioni: non è già questo abbastanza per qualche psiche ormai compromessa che chiede soltanto di avere un attimo di tregua, oppure dobbiamo auto-imporci altri grandi sforzi per limare ancora qualcosa di impercettibile verso il traguardo del rischio zero, che non potrà mai essere raggiunto? E arrivare a questa sicurezza, che cosa ci sarà costato?

A mio avviso è legittimo spingere sull’acceleratore se ci si sente di farlo e si hanno le energie per sostenere un tale velocità, ma non tutti quanti possono fare il pieno di carburante continuamente.

Visto che siamo ormai abituati alle fasce di rischio (e annesse misure di sicurezza) a colori per regioni e province, dico che l’ideale sarebbe un colore diverso per ogni famiglia, perchè ognuna di esse rappresenta un unicum per struttura, storia, relazioni e problemi (che conoscono solo i propri famigliari).

Questo però, come sappiamo tutti, è irrealizzabile. L’Italia a chiazze colorate per regioni e province è già un passo avanti rispetto al monocolore (che comunque all’inizio è servito per risvegliare un sentimento di coesione nazionale), ma se fosse possibile, ognuno di noi dovrebbe indossare un proprio abito colorato fatto su misura, che non si adatta agli altri.

E’ chiaro che dal momento che a tutti piacciono i colori chiari, è necessaria che ci sia un’autorità che opera delle scelte: la sfida è tener conto di un rischio collettivo tutelando però le diversità.

Un’altra cosa su cui purtroppo si riflette troppo poco è che ogni scelta che facciamo è sempre condizionata da quella che è la nostra previsione del futuro. Si legge su internet di persone agli estremi che chiuderebbero tutto e altre che vorrebbero aperto, e noi diamo per scontato erroneamente che il futuro che loro immaginano sia lo stesso. Si dice ancora che la salute viene prima di tutto, ma anche questa affermazione è collegata ad una previsione.

Immaginiamo che un’autorità ci suggerisca di rinchiuderci in una torre (o in una campana di vetro) per ridurre il rischio di venire contagiati da un virus pericoloso.

Rimanendo nella torre potremmo sopravvivere all’epidemia, in sicurezza e in salute. Certamente faremmo tutto il possibile da persone responsabili ed in un anno o due il virus potrebbe venire sconfitto. Immaginiamo ancora che questa battaglia si riveli più impegnativa del previsto e siano stimati 30 anni per vincerla. Rimarremmo lo stesso dentro la torre, oppure ci prenderemmo qualche rischio in più ogni tanto uscendo fuori? L’idea di vivere in sicurezza e in salute, ma senza libertà, potrebbe non essere allettante per tutti: in questo senso la salute non sarebbe al di sopra di tutto. Nel concreto, le persone che dicono di stare tutti chiusi, pensano che con questi gesti estremi si potrà tornare prima alla normalità; quelli che invece spingono per ritagliarsi maggiori libertà potrebbero avere un’immagine del futuro molto diversa. Anche la seconda posizione potrebbe essere più concreta di quanto si pensi. Non sappiamo quanto tempo ancora ci voglia per vincere il Covid: saranno mesi o anni? Sconfitto il Covid, potrebbe arrivare un altro virus. Sono troppo pessimista? Si, se ci basiamo sugli stessi parametri su cui abbiamo fatto fondamento in passato; no, se ci rendiamo conto che il mondo è cambiato. In che modo? Verso la globalizzazione. La globalizzazione stessa potrebbe essere la causa della pandemia. Nel passato molti contagi erano localizzati sul territorio: le barriere naturali e la mancanza della tecnologia per venire a contatto con persone distanti migliaia di Km impedivano il diffondersi del virus su scala planetaria. Si moriva purtroppo in un posto e tutti gli altri si salvavano (salvo eccezioni). Andando avanti, con i collegamenti del mondo moderno, lo stato di emergenza potrebbe divenire la nuova normalità. Ecco perché è legittimo anche il punto di vista di chi preferirebbe convivere col virus con qualche apertura e libertà in più e un po’ più di serenità.

La cosa importante è rispettare i punti di vista e non pensare che quello che si fa per sé stessi sia sempre la soluzione migliore per tutti gli altri.

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